Quando sei in viaggio le tue sfide quotidiane si dividono tra il trovare il treno giusto, il pagare il giusto prezzo, ambientarti in una cultura diversa, non metterti in pericolo e, banalmente, sapere se puoi guardare negli occhi chi incroci per la strada e chi no.

Quando torni a casa, invece, la vera sfida è mantenere la tranquillità, la sicurezza, la positività che hai imparato perchè non è facile. La sensazione che ho dopo tanto tempo fuori è che io sia cambiata mentre tutto il resto è rimasto esattamente uguale, con i suoi problemi e le sue paranoie. Ci sono cose più semplici ed altre più difficili, alcune che si risolvono da sole ed altre su cui devo impegnarmi un sacco.

Il traffico, ad esempio, dopo aver guidato un tuk-tuk in India, un motorino a Bali ed una bicicletta con cestino tra Vietnam e Cambogia mi sembra una sciocchezza: che volete che sia quello che non mi da la precedenza? Se dimentichi di averne il diritto ed impari a danzare con il mondo, entri in un ritmo diverso.

I ritardi del treno o la metro che mi si chiude in faccia, dopo le quattro, le sei ore attese in Lesotho e Swaziland perchè i pulmini si riempissero e partissero che volete che siano? Tutto il resto è noia. Davvero devo aspettare 10 minuti? Fantastico.

Ma ci sono cose che non sono cambiate e ancora mi irritano, che mi farebbero venir voglia di urlare, di arrabbiarmi e di mandare al diavolo ma ogni volta cerco di fermarmi a pensare, frugare dentro di me per trovare quell’empatia verso chi forse è solo stanco e insoddisfatto della sua vita. O forse è semplicemente stronzo, ma si hanno più risultati immaginandolo nel primo contesto.

I miei vicini, ad esempio, che mi vedono entrare in casa con le valigie e chiudono le porte, tutte e tre le porte che separano la strada dal mio appartamento. Le stesse porte che altrimenti lasciano aperte perchè entri il freddo nel mio bagno così da regalarmi un brivido sotto la doccia. O le stesse persone che fanno sparire i pacchi che il pigro corriere lascia fuori dalla mia porta.

Così respiro forte e cerco di ricordarmi la gentilezza, la pazienza e di non giocare il loro gioco fatto di nervosismi, che alla fine non fanno che del male solo a me stessa. Quando riaprivo tutte le porte cercavo di immaginare cosa mai potesse esserci nella loro testa per arrivare a farmi degli stupidi dispetti del genere, quale subdolo piacere potessero provare nel farlo e non sono arrivata ad una risposta. Però sono arrivata ad una domanda.

Il viaggio riesce davvero a segnarti al punto dal riuscire a farti scivolare addosso le cattiverie gratuite che il mondo ci regala o arrivati a casa, una volta tornati a quella “vita vera” si ritorna quelli di prima? Più ricchi da un lato ma con la stessa debolezza dall’altro? Non lo so ma è difficile. Forse è per questo che quando qualcuno torna vuole ripartire, non è un problema della nostra povera Italia, non completamente almeno, forse sono i problemi che si creano quando si è stanziali.

Non lo so, ho come la sensazione che il difficile non sia tanto la mancanza del mare o il mal d’Africa, ma piuttosto rimanere felici e leggeri in un mondo di zavorre che ti si agganciano ai piedi e cercano di tirarti giù. Zavorre costruite da realtà sbagliate in cui ci siamo infilati, che non abbiamo avuto il coraggio di cambiare e che riversiamo sotto forma di insoddisfazione e frustrazione sugli altri. Come dribblare le zavorre? Non lo so, ma proverò con l’educazione e la gentilezza: se otterrò qualcosa tanto meglio e saprò di aver davvero imparato qualcosa, altrimenti pazienza, tanto ho come la sensazione che darebbe comunque più fastidio di un vaff.

Credo che un vera lezione si impari quando si riesce ad estrarla dal suo contesto ed applicarla ad altri, se rimane confinata non è che un’eccezione.

Quotidianità vs novità, rapporti temporanei vs rapporti stabili, leggerezza vs zavorre. Una serie di pensieri sconnessi ma legati a doppio nodo.