Couchsurfing ad Ella

Dopo aver vagato tutto il giorno all’Horton Plains National Park, prendo l’autobus per Ella. Qui gli amici degli amici non hanno come ospitarmi così mi affido a Couchsurfing (in fondo anche questo è un social network) per trovare dove fermarmi una o due notti ed è così che conosco Alan (che per la cronaca, è un nome di fantasia).

Alan è il responsabile in una grande piantagione di tea a Ella. Ci incontriamo che è già notte, salgo sulla grande Jeep e ci avviamo verso casa. Passano 5 minuti, 10 minuti, 15 minuti, 20 minuti e siamo ancora in auto, la notte è terribilmente scura, illuminata solo da milioni e milioni di stelle, mentre noi percorriamo una strada tutta curve che sembra non finire mai. Mi spiega che tutto intorno ci sono piante e piante di tea che ovviamente non riesco a vedere con tutto questo buio.

Ci fermiamo ad una casa coloniale bianca e bassa, proprio come quelle dei film, dove vivono alcuni dei ragazzi che lavorano per lui nella piantagione. Sono tutti uomini e tutto ha un sapore strano di già visto, di familiare ma di completamente nuovo insieme. Mi guardano incuriositi e io mi comporto con naturalezza: mai arma è stata migliore di una donna sicura di sé che è sorridente ed affabile. Almeno, speriamo funzioni anche qui.

Ripartiamo e dopo altri cinque minuti finalmente raggiungiamo casa di Alan mentre in tutto questo mi chiedo se davvero siamo stati per tutto il tempo nella piantagione, perché se è così, è davvero enorme. La casa è bassa come quella dei “workers” ma è rossa e un po’ meno grande, seppur rimanga esagerata per un uomo da solo. Tutta intorno corre un giardino con l’erba che sembra tagliata di fresco e non è difficile immaginare la vista sulla montagna da qui. Tutto è buio ma ecco che appena varchiamo il vialetto come per magia si accendono le luci ed un uomo sulla sessantina ci corre incontro occupandosi subito della mia valigia mentre il mio nuovo amico mi porta alla scoperta della casa.

È meravigliosa: un incrocio tra storia e modernità, la struttura è antica e mantiene qualche arredo, ma è evidente il contributo di Alan con apparecchi tecnologici e per fare ginnastica. Ci sono cinque stanze da letto libere tutte grandi, arredate con gusto e dalle enormi vetrate che danno sul giardino (che comunque continuo a non vedere). La mia ha il bagno con la vasca e la doccia a cui è stato aggiunto un piccolo boiler elettrico per aver l’acqua “calda”. In Sri Lanka, infatti, ho scoperto che questa è un vero e proprio lusso e dopo giorni di docce fredde, una anche solo tiepida mi sembra quasi un sogno. Potrò per fino lavarmi i capelli!

Ci accomodiamo in salone ed ecco comparire un altro omino che ci porta del formaggio per stuzzicare qualcosa prima di cena, è il cuoco. Alan mi offre un rum e cola che gentilmente rifiuto, nulla è più stupido per una ragazza che viaggia da sola, e si trova a casa di uno sconosciuto, che ubriacarsi. Ed io non voglio guai. Chiacchieriamo un po’ finchè torna il primo omino, che cominceremo a chiamare Rudolf, ad informarci che la cena è pronta così ci spostiamo nella sala da pranzo.

Al centro del tavolo pende un interruttore simile a quello di una vecchia abatjour, non passa molto che scopro a che cosa serve; Alan, infatti, lo schiaccia ed ecco accorrere Rudolf. Proprio come nei film, la campanella per chiamare i “servants” come li chiama lui. Guardo quest’uomo dallo sguardo dolce e lo ringrazio per ogni gentilezza che ha per me e tutto mi sembra così strano. Alan mi spiega questi tre uomini vivono in un’area separata della casa, che vedono le loro famiglie nei giorni liberi mentre per il resto rimangono a casa con lui. In fondo è un lavoro come un altro, come i “workers” che abbiamo incontrato poco prima nella casa bianca ma non riesco a non provare un velo di tristezza.

Confidenze non richieste

La cena è deliziosa e poco dopo torniamo in salotto dove Alan si fa un altro drink e così si lascia andare alle confessioni di un uomo potente di 45 anni che si sente terribilmente solo nella sua grande casa. Aveva una moglie russa quando viveva in città, ma lei non aveva sopportato l’idea di trasferirsi nella piantagione in mezzo al nulla cosmico così se c’era andata e ora ha un nuovo compagno.

Essendo il “boss” non può esser amico di chi lavora per lui, perderebbe di credibilità e così passa le sue serate di festa in festa conoscendo turisti e ragazze bianche, che ho scoperto essere la sua passione. Dev’esser difficile in effetti. Forse è figo quando sei giovane e ricco, ma quando passano gli anni vorresti una persona con cui trascorrere le serate, con cui chiacchierare ed invece ti ritrovi solo in una grande casa come questa avvolto dal buio e dalle stelle.

Mi confida che qualcuno gli ha detto che durante quel mese avrebbe conosciuto la donna della sua vita e dalle sue allusioni e domande comincio ad intuire che stia seriamente pensando che possa essere io.

“Tu vorresti una famiglia?”
“Ah no guarda, assolutamente non adesso. Il mio viaggio è appena iniziato e non ne voglio proprio sapere di uomini, sto bene da sola”

“Ma tu hai mai avuto un ragazzo di colore?”
“Si…”
“… e com’era…?” (con relativa allusione maliziosa)
“Assolutamente come gli altri, un bugiardo”

“Non credi di aver bisogno di qualcuno che si prenda cura di te?”
“Credo che prima debba saper prendermi cura di me stessa da sola”

La situazione comincia a farsi un po’ strana, comincio a rispondere secca e decisa ma opto per lunghi e profondi sbadigli accompagnati da una serie di “come sono stanca” finchè riesco a sganciarmi, vado in camera e mi chiudo a chiave. Non credo sia pericoloso ma, non si sa mai.

La mattina successiva mi sveglio che sono le 6:30, il mio telefono è scarico e l’unica presa con un adattatore per caricarlo è nel salotto supertecnologico. Così sguscio fuori in punta di piedi, il piano è lasciar il telefono e tornare in camera a lavare i capelli ma nell’istante in cui mi giro per tornar indietro eccolo alle mie spalle con un grande sorriso “good morning!”. Come mi abbia sentito proprio non me lo spiego ma mi ha fregata.

Così ci accomodiamo in terrazzo a prendere il tea che Rudolf ha prontamente preparato e Alan si scusa per le confidenze a cui si è lasciato andare lanciando però un’altra bomba invitandomi a restare, offrendomi un autista e dicendomi che gli piacerebbe molto avermi intorno, che potrei essere sua moglie, occuparmi degli hotel che ha in città e che mi renderebbe felice. Più lui parla più il mio orario di partenza nella mia testa si fa imminente.

La regina scalza

Mi immagino a passeggiare tra le piantagioni e le donnine che raccolgono le foglie più tenere, salutandole con affetto e con la voglia di un mondo più equo. Non riuscirei mai, come fa lui, a passar senza degnarle di uno sguardo, lo capisco ma non approvo. Farei venir la famiglia di Rudolf e degli altri ragazzi a vivere con noi, di certo le camere non mancano, per poi cenare tutti insieme nel grande tavolo in sala. Forse in effetti mi basterebbe raccontagli questo quadretto per farlo desistere dal vedermi come la “donna giusta”.  

Improvvisamente diventa davvero importante per me riuscir a prendere l’autobus delle 13:00 e così ci rimettiamo in marcia verso la città. Alan è davvero gentile e premuroso con me, mi dispiace davvero così tanto che si senta così solo e un po’ disperato perché in fondo è una brava persona, solo non sono io quello che lui cerca e non posso proprio aiutarlo. Mi porta a dar un’ultima occhiata alla piantagione che in effetti si srotola lungo tutta la montagna e la vista da qui è davvero da togliere il fiato.

Pensare che potrei esser la regina del tea ad Ella, con autista, “servants” ed un business da portar avanti. Invece ho scelto di riprender la mia strada per il mondo a piedi scalzi. La natura di una persona non mente mai e come direbbe Shakira “’cause I’m a gipsy…”

Alle volte la nostra strada si incrocia con quella di qualcun altro senza una vera ragione e ci si trova in situazioni davvero paradossali. A te è mai successo? Se ti va raccontalo nei commenti qui sotto!