È sera, al solito ho fatto tardi per caricare online i video approfittando della connessione wifi del fast food e così mi ritrovo a guidare di notte con una pioggia che batte così forte che nemmeno i tergicristallo riescono a farci fronte.

Non posso fermarmi a dormire qui, è troppo turistica questa piccola città a due passi da Arches National Park e mi costerebbe troppo, soprattutto considerando che dormirei comunque in macchina. Controllo il navigatore, per arrivare al prossimo parco ci vogliono due ore e con questo buio e questa pioggia eviterei volentieri di guidare ancora. Vabbè, mi fermerò alla prima piazzola e ripartirò domani mattina.

La pioggia se possibile diventa ancora più insistente e avanzo pianissimo, non vedo a più di un metro davanti a me e non voglio rischiare di combinare qualche pasticcio. Ecco uno spiazzo di sosta per camion, andrà benissimo anche per me. Sulla sinistra sono parcheggiati uno accanto all’altro una fila lunghissima di grossi autocarri, sulla destra qualche macchina completamente abbandonata che chissà che fine ne abbiano fatto i proprietari visto che siamo nel nulla più assoluto.

Questi camion sono tutti bui tranne uno dove due sagome sembrano fissarmi, “paranoica” penso prendendo il beauty e andando in bagno a lavarmi e prepararmi per la notte. Non so perchè ma non ho una bella sensazione: dal camion seguono ogni mio movimento, l’edificio del bagno è completamente vuoto salvo per una macchinetta delle bibite protetta da una gabbia di metallo, intorno solo uomini che mi guardano con sorpresa.

Sicuramente il cinema americano non aiuta in questi casi e la fantasia corre verso decine di horror differenti che potrebbero esser tutti stati girati qui e di certo non fremo dalla voglia di esserne la nuova protagonista.

Il bagno, però,  è ben illuminato e mediamente pulito così mi rilasso mentre tolgo la polvere della giornata di viaggio dal mio viso e comincio a spazzolarmi i denti. Una signora mi raggiunge con delle pentole sporche e comincia a lavarle nel lavandino accanto a me.

“Mi scusi, è sicuro passare qui la notte?” le chiedo.
“Non saprei, vengo spesso qui con mio marito e non abbiamo mai avuto problemi. Tu sei qui da sola?”

Scambiamo qualche parola e la signora mi chiede dove andassi, cosa stessi facendo ma tutto senza mai guardarmi negli occhi finchè non la saluto e decido di tornare al mio van un po’ più serena, seppur il suo atteggiamento fosse non dei più rassicuranti. Salgo dietro, mi sdraio e vedo la signora tornare dal bagno e salire sul camion illuminato dove intanto il marito non si era perso un mio singolo movimento e continua imperterrito a fissare il mio van. Niente, non posso rimanere qui. Infilo gli occhiali e in un secondo sono al posto di guida, metto in moto e riparto alla volta di uno dei campeggi liberi sulla strada del parco.

La pioggia continua senza sosta, la notte intanto si è fatta ancora più scura e guidare sulla strada buia in queste condizioni è un incubo: incubo ancora peggiore per via della stanchezza, della sensazione brutta provata al parcheggio, dei fari delle macchine nel senso opposto che ogni volta mi abbagliano. Nella mia testa un solo pensiero fisso: devo andare via da lì.

Finalmente l’incrocio per il parco, freccia, giro a destra e lascio la principale per immettermi su una strada più piccola e più deserta di quella di poco fa: solo dei cerbiatti brucano sereni e sembrano non accorgersi nè di me nè della pioggia.

Finalmente arrivo al primo spiazzo gratuito e non c’è un’anima. Ci sono solo io e fuori è così buio che potrei essere potenzialmente ovunque. Mi butto sul retro del van, mi infilo nel sacco a pelo ma non riesco a tranquillizzarmi. Avevo raccontato a quella donna dove fossi diretta e se decidessero di venirmi dietro? Lì sarei completamente sola ed è così buio che anche se fossero fuori dal vetro non li vedrei. Tutta questa oscurità mi spaventa un po’, non riesco a vedere la mia stessa mano e mille pensieri di cosa potrebbe esser nascosto in tutto quel nero non mi lasciano dormire.

Mi rimetto gli occhiali, torno al volante e riparto. Sulla cartina vedo che c’è un’altra piazzola poco più avanti, forse lì troverò qualche altro viaggiatore accanto a cui parcheggiare e cedere finalmente serena al sonno, anche perchè ormai è quasi mezzanotte. Al secondo campeggio stessa cosa del primo: solo buio, solo io e solo silenzio e niente, decido di tener duro e di arrivare fino al parco.

All’interno dei parchi i rangers sono sempre di guardia e di sicuro lì non può succedermi nulla di male e sarei finalmente in salvo da questa sensazione orribile che non mi lascia da quando sono uscita dal fast food ormai diverse ore fa. Guido piano nella pioggia pregando di arrivare al più presto perchè davvero non ce la faccio più ed eccolo lì il cartello che annuncia il mio ingresso a Canyonlands, finalmente.

Un segnale dice “Elephant truck – campside” e lo seguo felice di trovare ad accogliermi uno dei miei animali preferiti e mentre mi chiedo come mai lo avessero chiamato elefante, seguo le indicazioni quasi in automatico così quando le scritte Elephant truck e campside prendono due direzioni diverse quasi non ci penso e continuo sulle tracce dell’animale. Ci sono degli altri cartelli che indicano che la strada è pericolosa e a una sola direzione perchè troppo stretta ma voglio così tanto trovare il campeggio e finalmente mettermi a dormire che non ci do più di tanta importanza e comincio a scendere.

La strada in effetti è tortuosa, larga praticamente quanto il van, ripida e con tutta una serie di curve a gomito che si affacciano su quel nero che non può che lasciarti all’immaginazione di cosa ci sia mezzo metro più in là. Sembra non finire mai e a ogni curva spero di trovare finalmente il campeggio, ma ogni curva ce n’è solo un’altra pronta ad accogliermi finchè mi devo fermare: la strada smette di svendere, ricomincia a salire e in mezzo è completamente allagata. Non so quanto sia profondo quel lago, un piccolo rigagnolo continua a portare acqua e io sono bloccata lì, nel nero senza poter andare più nè avanti nè indietro.

Pensare di fare retromarcia è da suicidio, affrontare quel lago pure: se rimanessi bloccata e aumentasse la pressione e il livello dell’acqua? Ho solo un’opzione: fare inversione. Il piede trema sulla frizione e non so dire quante manovre faccio andando avanti e indietro di 10cm in 10cm per non finire di sotto inghiottita dalla notte. Ho paura, è normale che io abbia paura ma questo viaggio mi ha insegnato a fidarmi di me stessa e del mondo pensando che se stanotte è arrivato il mio momento nulla potrà sottrarmi dal mio destino, se invece non lo è, un po’ alla volta riuscirò a girare la macchina e andare via.

Una cosa è avere tante prove di come tutto si incastri e dell’esistenza di un equilibrio superiore che le regola le cose, un’altra è dovercisi affidare per davvero. L’idea di morire in una scarpata in una notte nera e bagnata in un canyon negli Stati Uniti non è che mi piaccia poi tanto ma purtroppo solo in parte dipende da me.

Mi sembra quasi di sentire Vecchioni che mi canta nelle orecchie: “eri lontanissima due ore fa, ho temuto che per ascoltar la banda non facessi in tempo ad arrivare qua” mentre immagino la nera signora accovacciata su una pietra che si gode lo spettacolo.

Ci riesco, mi sono girata e posso andarmene da lì. Risalgo il maledetto Elephant Truck sperando di trovare presto l’altro campeggio perchè davvero non ho più nemmeno un grammo di energia. Finalmente in cima giro a destra e eccolo lì appena 10 metri più avanti: è sempre stato davanti a me ma per via dell’oscurità non l’ho visto. Parcheggio, lascio sul parabrezza un biglietto per il ranger dicendo che sarei passata a pagare quando mi fossi svegliata e mi sdraio per la quarta volta quella notte nel retro del van.

Tremo ancora e nonostante la stanchezza l’adrenalina non mi fa dormire, vorrei chiamare i miei genitori per dirgli quanto gli voglio bene ma non posso, meglio dormire che domani è un altro giorno.

Per ogni pensieri ne nascono altri cento, altri mille. Qui ho raccolto i miei ma se ti va di condividere i tuoi puoi farlo qui sotto. Ti chiedo solo la cortesia di essere sempre e comunque gentile, qualsiasi sia il messaggio che vuoi lasciare.