Christchurch era una città spaccata in due, la terra aveva tremato mandando tutto a terra, passeggiando per quelle strade dove la vita aveva ripreso in container colorati lo si sentiva bene nonostante gli anni passati fossero ormai sei.

Una normalità in scatola che con la creatività di chi la vive era davvero diventata normale: all’interno dei container caffé dalle tinte pastello che sanno tanto di cupcake alla vaniglia, negozi con abiti di quel nuovo vintage che va tanto di moda, librerie, mercerie, ristoranti. Guardavo da fuori attraverso il vetro soffiandomi nelle mani per il freddo la dignità di un popolo ferito che fa di necessità virtù convertendo mezzi per il trasporto delle merci in accoglienti angoli di vita vera.

Parlando con le persone di Christchurch é ancora più tangibile il prima e il dopo terremoto, un poco come avanti e dopo Cristo.

La frattura nella terra ha spaccato le case, le chiese, le scuole ma soprattutto le persone. Oggi c’é stata una seconda rottura, se è possibile più profonda perchè culturale, umana, inconcepibile.

L’odio seminato sta germogliando nel più lontano giardino, all’altro capo del mondo una mano ha colpito con forza uguale e contraria e come il battito d’ali di una farfalla, é giunto fino a noi in tutta la sua cruda violenza.

Quando smetteremo con questo daltonismo che é cecità, limite, muro, mutilazione, assurda banalizzazione della bellezza dell’essere umano?

“Un normale uomo bianco” che poi a guardarlo bene tanto “normale” in fondo non si sente o non avrebbe l’arroganza di mettersi al livello di qual-si-voglia-dio e decidere chi può vivere e chi deve morire, di etichettare e distruggere. Come in un videogioco si muove armi alla mano per vincere una battaglia tutta sua, che é solo nella sua testa ma che con la furia del terremoto si scaglia contro una città che stava facendo del suo meglio per risorgere come la più bella delle fenici, riducendola ad un povero fagiano in tempo di caccia.

Mi fa rabbrividire l’atrocità del pensiero, la voglia di condividere quasi fosse gesto di vanto, la visione davvero da videogame della telecamera sul petto messa in live per un perdere un solo secondo di quell’orrore.

Se la volontà era quella di ispirare il prossimo spero davvero il suo messaggio sia arrivato, ma che sia un messaggio di sdegno, di vicinanza, di fratellanza e di amore.

Siamo Parigi, siamo Sana’a, siamo Tripoli, siamo Jalalabad, siamo Qatif, siamo Dammam, siamo Scheidam, siamo Susa, siamo Al Kuwait, siamo Il Cairo, siamo Suruç, siamo Abha, siamo Sinai, siamo Beirut, siamo El Arish, siamo Tunisi, siamo Aden, siamo Tel Aviv, siamo Zitlen, siamo Baghdad, siamo Giacarta, siamo Damasco, siamo Bruxelles, siamo Iskandariya, siamo Balad, siamo al-Mukalla, siamo Wuerzburg, siamo Rouen, siamo Kabul, siamo Anshbach, siamo Saint-Etienne-du-Rouvray, siamo Charleroi, siamo Quetta, siamo Flensburg, siamo Al-Hilla, siamo Cambrils, siamo Al-Karak, siamo Berlino, siamo Istanbul, siamo Stoccolma, siamo Sejwan Sharif, siamo al-Bab, siamo Costantina, siamo Trèbes, siamo Dacca, siamo Tanta, siamo Alessandria d’Egitto, siamo Mastung, siamo Manchester, siamo Minya, siamo Labaa, siamo Londra, siamo Melbourne, siamo Tehran, siamo Sergut, siamo Barcellona, siamo Nasiriya, siamo New York, siamo Kizljar, siamo Carcasonne, siamo Surabaya, siamo Grozny, siamo Liegi, siamo Toronto, siamo Strasburgo, siamo Jolo, siamo Marsiglia, siamo Las Vegas, siamo Turku, siamo San Pietroburgo, siamo Nizza, siamo Christchurch. E purtroppo siamo molto più, più di quanto una stupida lista di nomi ci possa dire.

L’immagine del pezzo è stata scattata nella piazza principale di Christchurch nel giugno 2017 e racconta la voglia di democrazia e di comunità di questa città

Non c’è molto da dire, nessuna call to action da aggiungere ma ci sono molte cose che possiamo fare concretamente per cambiare il mondo e la prima, più semplice è la gentilezza verso tutti in maniera incondizionata.